Il Wunderkit di Arianna Papini

Il Wunderkit di Arianna Papini: intervista tratta dall’incontro Wunderkit, storie di oggetti e piccole meraviglie del 14 gennaio 2020.

 

Firenze, 15 gennaio 2020 – Arianna Papini è un’artista, in molti modi.

Scrittrice e illustratrice di oltre 150 libri (“immagine e testo sono entrambi strumenti potenti per me – dice – ma l’arte mi consola mentre la scrittura mi turba”), ha vinto tanti premi, tra cui il Premio Compostela, il Silent Book Contest, il Premio Rodari e il Premio Andersen come migliore illustratrice del 2018.

Pittrice, scultrice: non c’è cosa che non sappia fare con le mani, anche le iniezioni. È stata art director, per molti anni, della casa editrice fiorentina Fatatrac. Ha sempre seguito il suo amore per l’arte (Liceo artistico, Facoltà di Architettura di Firenze) e poi ha scelto anche di usare l’arte per curare, con un diploma post laurea alla Scuola Art Therapy di Bologna.

Arianna ha poca voce stasera, ma ha parole che incantano e che creano una ragnatela di magia intorno a chi si trova nel salotto di Wunderkit. Chi la ascolta non vorrebbe più andarsene.

Il suo kit è una macchina del tempo, fatta da cinque contenitori pieni di cose. Perché la vita è come un mosaico di tanti pezzettini, tutti fondamentali, e non può stare in cinque soli oggetti.

 

La scatolina delle imperfezioni

Resistere nella propria imperfezione e farne una cosa bella da guardare è la base del mio lavoro. Io non uso Photoshop: ho provato tante volte a imparare, ma la verità è che odio questi mezzi che tu, se sbagli, puoi rimediare. L’errore è meraviglioso: chi ha figli sa che la loro imperfezione è quello che amiamo di più, perché l’imperfezione è quello che ci fa riconoscere cose e persone, le rende uniche.

 

In questa scatolina ci sono la montagna e il mare, che io amo. È di lana cotta, a forma di montagna, con uno stambecco stilizzato, mentre dentro ci sono piccole cose trovate al mare: conchiglie, sassolini… tutte cose rotte o imperfette, strane escrescenze che sono state case di qualcuno. Anche le nostre case sono così: diventano sempre più imperfette via via che le abitiamo.

Così come tutti noi siamo imperfetti, nello stesso modo siamo anche disabili, in qualche momento della nostra vita: quando ci rompiamo una gamba, quando viviamo un lutto, quando invecchiamo… è bellissimo essere fragili, ve lo assicuro, perché ci fa capire cose che non vediamo quando siamo forti.

 

Il sacchettino delle cose da neonati

Io ho due figli. In questo sacchetto ci sono le prime cose che ho fatto per loro appena ho saputo che sarebbero stati un maschio, una femmina: quando ho iniziato a immaginarli davvero.

Sono cose che ho fatto a maglia, nell’attesa: le braghe di lei, il golfino di lui. Amo fare qualsiasi cosa con le mani, così come mi piace sperimentare nuove tecniche artistiche. Vado a fittonate: ora per esempio, anche se devo consegnare un libro tra 15 giorni, ho preso un trapano da legno e mi sono messa a fare bestie con pezzi di legno che ho recuperato in giro.

L’arte ha molto in comune con la maternità per me: anche i quadri sono come figli, c’è un pezzo di vita dentro e fin da subito so che devo lasciarli andare. Così li confeziono con cura e cerco di scegliere con attenzione le persone a cui venderli.

 

La borsa dei quadri da viaggio

Viaggio moltissimo per lavoro: spesso conosco i posti dove mi ospitano e sono tranquilla, ma quando non conosco l’albergo dove dormirò… insomma, io odio i quadri brutti! Non mi fanno dormire bene. Quindi porto con me i miei quadri da viaggio. Sono le tavole di un libro che che ho fatto a più mani con altri tre illustratori e fanno parte del mio kit di sopravvivenza.

Io sono una strana persona: ho un beauty case piccolo così, quando viaggio mi porto una maglietta e un paio di mutande, ma la mia valigia è piena di cose utili, come il tappetino per fare le flessioni (perché il corpo mi serve per disegnare) o, appunto, i quadri da viaggio!

 

Scatola delle caramelle dei nonni, con tutto quello che serve per disegnare

Contenente, nell’ordine: un piccolo quaderno vuoto: la grande promessa, acquerelli minuscoli, grafite acquerellabile (se non la conoscete ve la consiglio: si può dipingere con la grafite e poi disegnarci con la gomma da cancellare!), matite, cucitrice, forbici a forma di topo, fondamentali.

Dalla mia borsa di Eta Beta esce di tutto. Una volta in un negozio ho medicato perfettamente il negoziante, che si era ferito, e poi gli ho lasciato anche i cerotti di ricambio!
Mi porto dietro tutto perché sono fissata con l’ambiente e non mi piace comprare cose inutili.

Ammiro moltissimo le adolescenti come mia figlia, che escono senza niente: minigonna bianca e cellulare. Come fanno? Sono splendide! Forse perché tutto quello che gli serve è dentro il telefono.

Anch’io amo il web e i social, perché mi piace ritrovare le persone, parlarci anche a distanza, ma cerco di darmi degli orari precisi in cui stare davanti al telefono o al computer, perché altrimenti si mangiano tutto il tempo. Anche cercare ispirazione nelle opere di altri artisti secondo me è solo una grande illusione. Le immagini che ci arrivano dal web sono già “tradotte” da un artista, da un fotografo… quella persona si è già presa la parte bella del lavoro. Per trovare ispirazione dobbiamo guardare la vita, il vero!

 

La borsa del mare

Questa è la mia infanzia. È la borsina con cui da piccola andavo al mare. Quando l’ho ripresa in mano, mi sono accorta che c’è ancora la sabbia. Dentro c’è un peluche di nome Felice Pensiero, con cui dormivo quando ero piccola. Adesso è stato sostituito da un riccio. A chi non dorme bene, invece del sonnifero, io consiglio sempre: comprate una bestia di peluche che vi piace tanto e dormite con lei: vedrete che dormirete benissimo!

Una bambolina, rubata a una bambina antipatica (l’unica volta in cui sono stata vendicativa nella mia vita: mi sono sentita così bene che l’ho tenuta come un amuleto).

E infine un gatto umanizzato: un pupazzo che ho fatto all’asilo quando avevo tre anni e la maestra ci insegnò la “catenella”. In realtà era il ritratto della signorina che faceva la cameriera a casa dei miei nonni (cosa che non mi tornava affatto!) e non andai in giardino quel giorno per completarlo. La maestra chiamò i miei genitori: “La bambina – disse – è particolare”.

 

Le parole sagge di Arianna

Il mio consiglio per gestire l’ansia sul lavoro? Smettere di fare quella cosa, per almeno due o tre ore. Guardatevi intorno, guardate la vita a 360 gradi. Questo aiuta a mettere le cose nella giusta prospettiva, a capire che la nostra scadenza, che ci mette tanta ansia, è in realtà una piccola cosa.
Anche la velocità, la fretta, aiutano: siamo rapidi nelle cose che amiamo e spesso “abbellire” un disegno lo rovina.
Il fare con le mani è sempre arte: è importante riconoscere quello di cui abbiamo bisogno e dargli spazio, tempo, continuità e consapevolezza.
Non releghiamo quello che amiamo ai ritagli di tempo. Perché l’arte è una cosa seria.

 

Intervista di Lisa Innocenti
Foto di Giancarlo Barzagli